Esiste la responsabilità se dal giudizio controfattuale emerge che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente
La Suprema Corte, con la sentenza n. 12353/2020 accoglie il ricorso di un medico ritenuto erroneamente responsabile di non avere praticato un intervento su una paziente la quale avrebbe avuto una probabilità di sopravvivenza molto bassa, pari a circa il 10%.
Il fatto e il giudizio di primo grado
trae origine dalla sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo, la quale confermando il primo grado di giudizio che riteneva responsabile del reato di omicidio colposo il medico che aveva avuto in cura la paziente affetta da idrocefalo triventricolare. Secondo i giudici della Corte territoriale il sanitario in servizio presso la neurochirurgia dell’Ospedale Civico di Palermo di merito, il sanitario aveva sottovalutato colposamente le condizioni della paziente; infatti, pur disponendo degli esiti della TAC, non l’aveva sottoposta tempestivamente ad un intervento per ridurre la pressione intracranica, volto a provocare la fuoriuscita del liquido cefalorachidiano. In tal modo, aveva determinato un danneggiamento irreversibile del cervello, da cui era derivata la morte.
Il giudizio di secondo grado
In sede di appello, era stata disposta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante la nomina di un collegio peritale per accertare l’incidenza causale della condotta del medico sull’evento morte. Secondo i periti, dalla TAC emergeva la necessità di un intervento immediato. Pur nondimeno, anche se l’operazione fosse stata eseguita, con alta probabilità (80/90%), non avrebbe scongiurato la morte della paziente.
Benché le conclusioni del collegio peritale venissero riportate in sentenza, i Giudici, ritenevano comunque che l’intervento di derivazione ventricolare andasse ugualmente svolto.
Orbene, la Corte distrettuale ometteva valutare che il giudizio fornito dai periti prescindeva da un mero dato percentuale, avendo gli stessi diffusamente ribadito la drammaticità delle condizioni neurologiche della paziente e, pertanto, con sentenza del 2018 confermava quanto stabilito in primo grado, in quanto il medico aveva sottovalutato colposamente le condizioni della paziente, cagionandone il decesso.
In quest’ottica, la Corte aveva fatto riferimento alla teoria della perdita di chance, in base al quale, nella verifica del nesso di causalità tra la condotta del medico neurochirurgo e la lesione del bene della vita del paziente, occorreva privilegiare un criterio meramente probabilistico, sulle possibilità di successo del comportamento alternativo.
Si tratta, tuttavia, “di una valutazione che si pone in contrasto con le indicazioni ermeneutiche espresse dal diritto vivente, sul tema dell’imputazione causale dell’evento”.
Il ricorso in Cassazione
Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo del proprio Difensore, proponeva ricorso per Cassazione evidenziando i vizi della sentenza impugnata in relazione all’accertamento del nesso di causalità; sul punto giurisprudenza dominante ritiene sia “causa” di un evento l‘antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato.
Dal concetto di causa, nasce la nozione giuridica di giudizio controfattuale, necessaria per valutare se, nell’assenza di una determinata condizione, la medesima conseguenza si sarebbe verificata. Il giudizio controfattuale costituisce, pertanto, il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice e cioè della teoria condizionalistica. In tema di responsabilità medica, è dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o posticipato.
“L’importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica è stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si è affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l’evento lesivo, non si può prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla “causa” dell’evento stesso, giacchésolo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto” (S.za n. 25233 del 2005)
Conclusioni della Suprema Corte
Al riguardo la Cassazione ha ribadito che per offrire la prova del fatto il giudice non può attingere a criteri di mera probabilità statistica, ma deve fare riferimento al criterio della probabilità logica, intesa come “la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità della legge statistica” (Sezioni Unite, n. 30328/2002), secondo i noti principi richiamati.
Pertanto la Suprema Corte, sul punto concludeva, affermando che in tema di responsabilità medica, è indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o posticipato.
Il giudice è tenuto a “valutare in termini rigorosi e scientificamente accettabili i dati indiziari disponibili, al fine di verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato ragionevolmente evitato o differito con (umana) certezza”.