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Giurisprudenza civile

I parenti sopravvissuti non hanno un rapporto contrattuale con il luogo di ricovero

La struttura sanitaria che ospitava un paziente deceduto risponde nei confronti dei parenti per responsabilità extracontrattuale

In riferimento ai danni patiti da un malato psichiatrico a causa di comportamenti autolesionistici, qualsiasi struttura sanitaria, nel momento stesso in cui accetta il ricovero d’un paziente, stipula un contratto dal quale discendono naturalmente, ai sensi dell’art. 1374 c.c., due obblighi: il primo è quello di apprestare al paziente le cure richieste dalla sua condizione; il secondo è quello di assicurare la protezione delle persone di menomata o mancante autotutela, per le quali detta protezione costituisce la parte essenziale della cura.

La struttura sanitaria risponde contrattualmente dei danni, dei quali chieda il ristoro il paziente,derivanti dalla mancata adeguata vigilanza sulla sua persona e, in particolare, dall’omesso impedimento di atti autolesivi, ma non è responsabile nei confronti degli stretti congiunti per il danno da menomazione del rapporto parentale.

Con la Sentenza n.14258/2020 la Suprema Corte ha valutato tale responsabilità contrattuale o extracontrattuale, della struttura sanitaria, nei confronti dei congiunti del paziente che abbia subito un danno a causa dell’omessa vigilanza da parte della struttura medesima.

Nel caso di specie, i ricorrenti avevano adito il Tribunale di Pavia per chiedere il risarcimento dei danni da perdita del rapporto parentale, a seguito del suicidio del proprio padre, affetto da grave malattia mentale, nei confronti della Struttura Sanitaria ove il medesimo si trovava ricoverato.

I ricorrenti, difatti, ritenevano che la Struttura sanitaria fosse responsabile, per non aver impedito il suicidio del proprio padre, in considerazione dei pregressi clinici del genitore che spesso era stato ricoverato nel medesimo nosocomio a causa di un quadro di schizofrenia paranoide. Pertanto, ad avviso dei ricorrenti, la Struttura Ospedaliera aveva tutte le informazioni necessarie per approntare le cautele del caso.

Più precisamente, i ricorrenti esperivano un’azione risarcitoria, invocando una responsabilità contrattuale della struttura nei loro confronti, in ragione del contatto sociale che gli stessi parenti hanno avuto con la struttura sanitaria: questo derivava dal rapporto contrattuale tra la struttura e il paziente, con conseguenti effetti protettivi, anche nei confronti dei figli del paziente.

Considerato che sia in primo grado che in Appello, la domanda dei ricorrenti, veniva rigettata, i medesimi, al fine di vedere tutelato il loro diritto, ricorrevano in Cassazione. 

La Corte di Cassazione, in primo luogo evidenziava come l’azione proposta dai congiunti doveva essere esperita ex art. 2043 c.c. e non ex artt. 1218 e 1228 c.c.. nella fattispecie del contatto sociale, con conseguente configurazione della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.

In secondo luogo si pronunciava sull’irretroattività della Legge Gelli-Bianco, invocata dai ricorrenti pur essendo il fatto avvenuto precedentemente alla stessa, specificando comunque che i familiari avevano invocato un autonomo diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, richiamando la teoria del contatto sociale, invocando una responsabilità di natura contrattuale della struttura nei confronti dei congiunti, con la conseguente applicazione del regime maggiormente favorevole.

Sul punto, tuttavia, la Corte Suprema ha ribadito il principio secondo cui la struttura ospedaliera deve ritenersi responsabile dei danni cagionati al paziente dei quali egli stesso chieda il risarcimento, ma ciò non può estendersi ai suoi congiunti in ordine al danno da menomazione o perdita del rapporto parentale, soprattutto nel caso in cui sia lo stesso paziente a togliersi la vita; il paziente, pertanto, rimane l’unica parte contrattuale e l’unico titolare di un autonomo diritto al risarcimento del danno di natura contrattuale, non dispiegando il negozio alcun effetto protettivo verso terzi.”

Ciò argomentato, la Suprema Corte, respingeva quanto richiesto dai congiunti, ossia l’estensione dell’efficacia protettiva verso terzi, rilevando che la stessa può sussistere solo nel caso in cui l’interesse di cui essi sono portatori risulti strettamente collegato a quello regolato dall’obbligazione assunta nei confronti del paziente, tanto da entrare nella causa comune del contratto stesso.

La figura del contratto ex art 1218 cc, con efficacia protettiva verso il terzo, nel campo della responsabilità per colpa medica, non può trovare applicazione per le pretese risarcitorie azionate iure proprio dai parenti del defunto.

Questo perché il paziente rimane l’unica parte della relazione contrattuale e, pertanto, la Corte non ritiene che i parenti possano vantare un interesse direttamente collegato alla corretta prestazione contrattuale. Dunque il diritto vantato autonomamente dai congiunti del de cuius nei confronti della struttura ospedaliera, per perdita del rapporto parentale, in caso di morte del paziente deve rientrare nell’alveo della responsabilità aquiliana con relativo termine prescrizionale quinquennale di cui all’art. 2947 c.c.

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