L’intervento di altri medici dopo quello che asseritamente avrebbe commesso l’errore, può rendere impossibile ricostruire il nesso causale.
Il fatto:
Un paziente si sottopone a cure odontoiatriche a seguito delle quali, però, asseritamente accusa conseguenze fastidiose, quali vertigini, acufeni, scricchiolii alla mandibola.
In conseguenza di ciò, si rivolge ad altro professionista per completare la cura.
Il paziente, sosteneva che l’errore sarebbe consistito nel non utilizzare, prima degli elementi definitivi, denti provvisori in resina, più elastici, che avrebbero evitato le conseguenze negative lamentate.
Evocato in giudizio, l’odontoiatra, contestava i suddetti assunti, rilevando come il paziente non si fosse presentato alle visite di controllo, consentendo la soluzione di eventuali problemi di assestamento.
In sede di merito veniva rilevato dai giudicanti, su pedissequa indicazione del CTU nominato, l’impossibilità di dimostrare un nesso causale tra la prestazione eseguita ed i disturbi lamentati.
Occorre precisare che non veniva dimostrato in alcun modo il ricorso temporaneo ad elementi in resina poco elastici, perché evidentemente quel lavoro era stato completato con l’applicazione dei denti definitivi; soprattutto, si rilevava come l’intervento di altri professionisti dopo il primo, rendesse impossibile stabilire in quale misura, l’uno e gli altri avessero concorso nel provocare la condizione finale.
Per completezza occorre precisare che i problemi lamentati, non erano più oggettivamente rilevabili, ma non è questo il punto di rilievo per quanto ci interessa come problematica. L’aspetto di maggior rilievo è costituito infatti, dal rilievo dato all’intervento di più professionisti nel rendere non più ricostruibile il nesso di causalità.
La sentenza della Suprema Corte
La Corte di Cassazione con sentenza del 31maggio 2021 n. 15108, ha conclusivamente stabilito che la Corte di Appello, correttamente aveva “escluso la configurabilità del nesso causale tra la prestazione posta in essere dal medesimo (professionista) e i disturbi accusati dal paziente, in ragione del fatto che il quadro clinico risultava alterato dagli interventi successivi di altri professionisti. Ciò rendeva, infatti, impossibile comprendere quali danni potessero essere ricondotti alla prestazione originaria…” e, ancora “la sentenza di merito ha valutato… da un lato la prova dell’infondatezza dell’addebito relativo alla mancata esecuzione di un impianto in resina, dall’altro l’impossibilità per il CTU di apprezzare attualmente la presenza di acufeni e vertigini…”
L’argomento in punto di diritto
Nel caso che ci riguarda, occorre rilevare in primo luogo come, se è vero che una volta dimostrata l’esistenza di una lesione dopo un intervento medico, la prova dell’assenza di responsabilità spetta sostanzialmente all’operatore medico, è altresì vero che tale inversione dell’onere della prova non riguarda anche l’esistenza o meno di conseguenza lesive dell’intervento.
In altre parole, il paziente che chieda un risarcimento deve in primo luogo dimostrare di avere effettivamente delle lesioni permanenti, attribuibili all’intervento medesimo.
In secondo luogo, anche dimostrando l’esistenza di lesioni (ciò che nel caso in questione non è avvenuto), nel caso dell’intervento di più clinici successivamente al primo, occorre dimostrare, che la responsabilità dell’errore ricade sul primo, perché in caso contrario è impossibile ricostruire il nesso causale.
Le conclusioni
Il medico che agisca per risolvere problemi creati da un collega precedentemente intervenuto, è opportuno cristallizzi la condizione nella quale si trova il paziente con adeguati esami clinici che consentano di distinguere adeguatamente la condizione fisica ante e post il proprio intervento risolutore.
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