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Medici specializzandi e inadempimento dello Stato italiano agli obblighi comunitari

L’ordinanza n. 42110 della Cass. civ., Sez. VI – 3,  del  31/12/2021, si iscrive nella annosa e tormentata vicenda che ha riguardato i medici specializzandi e l’inadempimento delle Stato italiano agli obblighi comunitari.

Come è noto, la c (cd. direttiva riconoscimento) e la direttiva n. 75/363/CEE (cd. direttiva coordinamento), come modificata dalla direttiva n. 82/76, hanno avuto ad oggetto il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico e le misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (la prima), nonché il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per le attività di medico (la seconda). B), ed hanno, tra l’altro, previsto il diritto degli specializzandi ad un’adeguata remunerazione.

La direttiva n. 82/76/CEE del Consiglio, avrebbe dovuto essere recepita dagli Stati membri entro il 31.12.1982, ma tale termine non è stato rispettato dallo Stato Italiano, come accertato dalla Corte di con la sentenza 7.7.1987 in causa C – 49/86 (Commissione/Italia).

Soltanto con il D. Lgs. 8.8.1991 n. 257 sono stati determinati i diritti e gli obblighi dei medici iscritti alle scuole di specializzazione (art. 4) ed è stata prevista l’erogazione in loro favore di una borsa di studio, annualmente incrementabile secondo il tasso di inflazione programmata e rivalutabile ogni triennio (art. 6).

Tuttavia, l’applicazione di tali disposizioni è stata stabilita a decorrere dall’anno accademico 1991/92.

La Corte di Giustizia si è interessata nuovamente della vicenda con due pronunce. Con la sentenza 2.2.1999 in causa C-131/97 (Carbonari) ha stabilito che l’obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione dei medici specialistici s’imponeva solo per le specializzazioni mediche comuni a tutti gli Stati membri o a due o più di essi e menzionate negli artt. 5 o 7 della “direttiva riconoscimento”.

Tali princìpi sono stati ribaditi dalla sentenza 3.10.2000 in causa C-371/97 (Gozza), nella quale è stato ulteriormente precisato che l’obbligo della retribuzione adeguata atteneva ai periodi di formazione tanto a tempo pieno quanto a tempo parziale e si imponeva solo se le condizioni di formazione, sia a tempo pieno sia a tempo ridotto, fossero state rispettate dai medici specializzandi. In buona sostanza, sorgeva in capo al singolo specializzando privato del diritto all’adeguata remunerazione la facoltà di agire per il risarcimento dei danni, purché ricorressero le seguenti condizioni:

1) la norma giuridica violata fosse preordinata ad attribuire diritti a favore dei singoli, il cui contenuto potesse essere identificato sulla base della direttiva;

2) la violazione fosse sufficientemente grave e manifesta;

3) esistesse un nesso di causalità fra la violazione dell’obbligo imposto allo Stato e il danno lamentato dal singolo (v. punto 38 della sentenza Gozza e punto 5.2 della sentenza Carbonari): si trattava, in sostanza, dei princìpi già affermati nella nota sentenza della Corte di Giustizia 19 novembre 1991, in cause riunite 0-6/90 e C-9/90, Francovich (punto 46) ed a questo proposito la Corte aveva espressamente precisato che “l’applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della direttiva 82/76 permette di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione di tale direttiva, a condizione che la direttiva stessa sia stata regolarmente recepita, ma spetta al Giudice nazionale far sì che il risarcimento del danno subìto dai beneficiari sia adeguato; un’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva 82/76 sarà a tal fine sufficiente, a meno che i beneficiari non dimostrino l’esistenza di danni ulteriori da essi eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti da detta direttiva e che dovrebbero quindi essere anch’essi risarciti” (v. sentenza Gozza, punto 39, e sentenza Carbonari, punto 53, che richiama Corte di giustizia 10 luglio 1997, in cause riunite C – 94/95 e C-95/95, Bonifaci, in particolare punti 51 e 53).

Dalle sentenze della Corte di Giustizia emerge, dunque, un chiaro indirizzo per l’applicazione delle misure di attuazione della direttiva, sia tramite l’interpretazione adeguatrice, sia tramite specie di risarcimento del danno in forma specifica; il risarcimento del danno per equivalente, invece, rappresenta l’extrema ratio per il ristoro di quei pregiudizi che l’una o l’altra forma di tutela da accordare in via principale non siano stati in grado di assicurare

Dopo l’intervento della Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenza 24.1.2018 in cause riunite C-616 e C-617), è pacifico che il diritto all’adeguata remunerazione spetti, sia pure solo per la porzione di corso di specializzazione frequentata dal 1°.1.1983, a quanti lo abbiano iniziato nell’anno 1982.

Invece, per coloro i quali hanno iniziato il corso di specializzazione anteriormente al 1982 e lo hanno concluso dopo il 1°.1.1983, in seno alla Cassazione è insorto un contrasto interpretativo dell’ultima pronuncia citata della Corte di giustizia.

Vi sono, infatti, pronunce che hanno negato il diritto all’adeguata remunerazione pro quota valorizzando l’affermazione della Corte di Lussemburgo, secondo la quale le norme comunitarie in questione devono essere interpretate “nel senso che qualsiasi formazione a tempo pieno o a tempo ridotto come medico specialista iniziata nel corso dell’anno 1982 e proseguita fino all’anno 1990 deve essere oggetto di una remunerazione adeguata” (Cass. Ord. 30.10.2018 n.27471 e Ord. 31.5.2018 n.13763). Ad esse si sono contrapposte decisioni di segno opposto, che hanno posto in rilievo come la remunerazione adeguata per gli specializzandi fosse prevista dalla Direttiva 75/363 nel testo modificato dalla direttiva 82/76 e come, secondo i consolidati princìpi della giurisprudenza comunitaria, sia compito del giudice nazionale interpretare il diritto interno “quanto più possibile alla
luce del tenore letterale e delle finalità della Direttiva in questione, in modo da raggiungere il risultato perseguito da quest’ultima”, sicché “il mancato riconoscimento del diritto a ricevere una remunerazione adeguata…comporta la responsabilità dello Stato membro inadempiente all’obbligo di trasposizione delle direttive, con conseguente obbligo di corrispondere all’avente diritto il relativo risarcimento del danno” (Cass. Ordd. 2.8.2018 nn. 20420 e 20418; 1°.8.2018 n.20376; 31.7.2018 n.20348).

Ad ogni modo, con ordinanza n. 23901 del 29/10/2020 le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi sulla questione se il diritto alla remunerazione adeguata previsto dall’art. 13 della Direttiva 82/76/CEE spetti “anche ai medici che si siano iscritti ad una scuola di specializzazione in anni precedenti l’anno 1982, e che siano in corso all’1 gennaio 1983” e se, di conseguenza, “il diritto al risarcimento del danno per il ritardo nel recepimento della Direttiva suindicata da parte dello Stato italiano competa anche a detti sanitari, limitatamente alla frazione di risarcimento successiva all’1 gennaio 1983”

L’inquadramento giuridico della domanda volta ad accertare la responsabilità dello Stato Italiano per la mancata o tardiva attuazione di direttive comunitarie non auto-esecutive è quello dell’inadempimento di una obbligazione ex lege di natura indennitaria per attività non antigiuridica, che non è subordinata alla sussistenza del dolo o della colpa ed è riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, con conseguente applicazione dell’ordinario termine decennale di prescrizione; il termine quinquennale previsto dall’art. 4, comma 43, della legge n. 183 del 2011 è stato invece ritenuto applicabile solo ai fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore (1°.1.2012) perché, in assenza di una espressa previsione, non può avere natura interpretativa o, comunque, retroattiva (v. Cass. 9.2.2012, n. 1917).

In ordine all’individuazione del termine dal quale iniziasse a decorrere la prescrizione, la Suprema Corte ha affermato che esso va individuato – con riguardo alla posizione degli specializzandi che abbiano conseguito il diploma negli anni accademici compresi fra il 1983/84 e il 1990/91, che non siano stati destinatari delle sentenze del giudice amministrativo indicate nell’art. 11 della legge 19.10.1999, n. 370 – nella data di entrata in vigore di tale disposizione (27.10.1999), in quanto solo in tale momento l’obbligo risarcitorio è divenuto apprezzabile come un effetto della condotta di inadempimento ormai definitivo (cfr. Cass. 17.5.2011, n. 10813); successivamente la Cassazione ha avuto modo di ribadire, con ripetute e conformi pronunce, le argomentazioni interpretative, già fissate con le predette sentenze n. 9147/09 e n. 10813/11 (Cass. 29.8.2011, n. 17682; 18.8.2011, n. 17350).

In particolare, con Cass. Sez. 3^ del 10 gennaio 2019 n.461 la Suprema Corte ha ribadito quanto segue: “A seguito della tardiva e incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/Cee e n. 82/76/Cee, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il decreto legislativo n. 257 del 1991 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato Italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1° gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con l’articolo 11 della legge n. 370 del 1999, che ha riconosciuto il diritto a una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo. Deriva da quanto precede, pertanto, che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato articolo 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato articolo 11”.

Pertanto, tutti gli specializzandi che, avendo conseguito il diploma dopo il 1991, non siano rientrati tra i destinatari del D. Lgs. n.257/1991 come anche tra i destinatari della legge n.370/1999 (art.11), il termine di prescrizione decennale ha iniziato a decorrere dalla data d’entrata in vigore di tale ultima disposizione di legge (27.10.1999).

Può ora passarsi all’esame delle specifica pronuncia.

Il caso concreto è riferito ad un medico che non rientrava nelle condizioni indicate dall’art. 11 della legge 370/99 e, quindi, non beneficiario di una sentenza favorevole passata in giudicato del TAR Lazio.

Tuttavia, secondo la Corte di cassazione, il predetto art. 11 costituiva quantificazione del risarcimento spettante valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato art. 11, e, quindi, per tutti colori avesse svolto la specializzazione in epoca successiva al 1982.

Avendo il legislatore previsto una quantificazione specifica, l’obbligazione di pagamento era divenuta debito di valuta, e cioè direttamente obbligo di pagare una somma di denaro e non già obbligo di risarcire per equivalente, e cioè tramite il pagamento di denaro, un danno cagionato.

Nel caso dei debiti di valuta, e cioè obbligazioni originariamente sorte come obbligo di consegnare una somma di denaro, il codice civile prevede che il danno sia costituito dagli interessi legali (artt. 1224 e 1282 c.c.), a meno che la parte non dimostri un maggior danno.

Pertanto, la Corte afferma che “Va esclusa la spettanza della rivalutazione e dei correlati interessi compensativi, salva rigorosa prova, da parte del danneggiato, di circostanze diverse da quelle normali”. In sostanza, il medico ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che se avesse avuto quelle somme le avrebbe investito e avrebbe impedito di subire il danno costituito dalla svalutazione monetaria.

Va detto, tuttavia, che la Corte sembra dimenticare l’esistenza dell’art. 1282 c.c., a norma del quale i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto. Pertanto, l’indennità spettante, essendo debito di valuta, produceva interessi sin dal giorno della sua debenza.

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